Lattanzio, un grande dimenticato. Vita e opere del Gambara (1530-1574)
VENERDì 6 APRILE ALLE ORE 18 primo appuntamento del ciclo di tre incontri intitolato:
“Lattanzio, un grande dimenticato. Vita e opere del Gambara (1530-1574)” condotti dallo storico dell’arte Giuseppe Merlo.
Nel primo incontro si affronta il tema: “Brescia e la ‘Maniera’: Lattanzio Gambara, la sua formazione cremonese e il sodalizio con Romanino”
Ingresso libero
Venerdì 13 aprile alle ore 18, secondo appuntamento del ciclo di tre incontri intitolato:
“Lattanzio, un grande dimenticato. Vita e opere del Gambara (1530-1574)” condotti dallo storico dell’arte Giuseppe Merlo.
Oggi si affronta il tema: “I grandi cicli profani”.
Interverrà anche Romeo Seccamani che ha restaurato alcuni degli affreschi di corso Palestro
Nota del curatore
Lattanzio Gambara (1530 ca – 1574) è, senza tema di smentita, il più dotato, il più prolifico, il più intrigante rappresentante della corrente manierista a Brescia e uno dei più rappresentativi dell’intera area padana; e al contempo, per una serie di sfortunate coincidenze, uno dei più misconosciuti specialmente nella sua città natale.
Lattanzio nasce a Brescia da una famiglia originaria di Gambara – paese da cui prenderà poi il nome – verso il 1530 come da una polizia di sua madre Annunciata de Mori che nel 1546 lo dichiara “de anni sedici”. Il giovane Lattanzio si forma a Cremona, città nella quale si era rifugiato il padre dopo il bando da Brescia, nella colta e aggiornata bottega dei fratelli Campi; bottega che, oltre a insegnarli l’arte pittorica, l’istruisce alle raffinatezze della maniera tramite la conoscenza delle splendide opere mantovane di Giulio Romano.
Tornato a Brescia nel 1549 si lega, con un particolare contratto, a Gerolamo Romanino; maestro col quale collaborerà sino alla morte di questi e di cui diverrà genero sposandone una delle figlie: Margherita. Alla morte di Romanino (1559) Lattanzio ne fu, di fatto, l’erede essendo già subentrato, ancora in vita Gerolamo, nella conduzione della bottega come si intuisce dal testamento di Romanino.
Dotato di grandi qualità artistiche, e di una rapidità esecutiva invidiabile, Gambara ha prodotto, nella sua non lunga esistenza, un catalogo impressionante di opere; opere per la maggior parte a fresco: tecnica nella quale era particolarmente versato.
Insostituibile testimonianza della collaborazione con Romanino sono le splendide sale terranee di Palazzo Averoldi a Santa Croce; sale nelle quali l’estro creativo “anticlassico” del vecchio Gerolamo si confronta con le novità della “Maniera” di cui Lattanzio è portatore.
La prontezza d’invenzione, unita alla rapidità esecutiva, hanno fatto sì che alquanto ampio sia il suo catalogo. Dagli affreschi di Corso Palestro si giunge alla grandiosa impresa del Duomo di Parma (dal 1567). Nel mezzo numerose decorazione (citiamo le meglio conservate) che vanno dagli affreschi dell’abbazia di Rodengo (1561), a quelli delle ville Maggi di Corzano e Cadignano, di palazzo Calini a Calino, Avogadro del Giglio, Galanti e Cimaschi in città, per non dimenticare la grandiosa decorazione della chiesa di Santo Stefano a Vimercate.
Accanto alla preponderante produzione originaria ne esiste una forse meno accattivante, ma altrettanto importante, di pale d’altare.
Nonostante abbia goduto in vita di una consolidata notorietà e alta sia la quantità e la qualità della sua opera Lattanzio Gambara non ha goduto di un adeguato interesse da parte della critica e il suo nome è, a tutt’oggi, ignoto alla maggior parte del pubblico.
Giuseppe Merlo