L’attualità di una ricerca visuale
La mostra, che inaugura ufficialmente la nuova stagione, prosegue la fortunata serie dedicata al collezionismo di arte contemporanea della nostra provincia, che ha già proposto artisti come Kolàr, Demarco, Guerreschi, Fontana, Munari, Birolli, Zigaina, Dorazio, Vedova, Fieschi, Adami, Baj, Veronesi, esponenti della Nuova Figurazione, del Futurismo, dell’Informale, dell’Arte cinetica e della Poesia visiva, della Pop Art italiana. La rassegna sarà curata da Paolo Bolpagni, di cui riportiamo di seguito una presentazione.
Dopo una fase di parziale eclissi, durante la quale è stata sminuita (quando non bistrattata), l’arte programmata e cinetica sta conoscendo da qualche tempo un deciso ritorno alla ribalta, dal punto di vista degli studi, delle manifestazioni espositive e – non da ultimo – delle quotazioni di mercato. Si tratta magari dei classici corsi e ricorsi, oppure del progressivo maturare di una consapevolezza che l’ampliarsi di una certa distanza cronologica dai fatti e dalle opere favorisce e induce. Oppure (azzardo un’ulteriore ipotesi), si sta iniziando a notare che forse quelle esperienze astratto-programmate, che negli anni Settanta cominciavano ad apparire un po’ ripetitive e datate, in realtà si rivelano a posteriori tutt’altro che un ramo secco dello sviluppo storico (come invece alcune più “blasonate” tendenze), ma anzi l’origine di molta arte digitale o computer art di oggi (insomma, le griglie pittoriche, le textures vibratili, le strutture mobili o innescanti particolari effetti percettivi finirebbero per risultare antenate del pixel e dell’animazione in 3D); e, in generale, di tanta produzione attuale, dagli acciai specchianti di Timo Nasseri alle installazioni di Philippe Decrauzat e Jeppe Hein, ai dipinti di Évariste Richer (stiamo parlando di autori sulla quarantina d’età, già assurti a livello internazionale).
Chissà, è giusto uno spunto di lettura. Certo, visitare la mostra Dynamo. Un siècle de lumière et de mouvement dans l’art 1913-2013, curata da Serge Lemoine a Parigi al Grand Palais (dal 10 aprile al 22 luglio di quest’anno), rafforza tali suggestioni e, ponendo l’uno accanto all’altro gli esponenti presenti e passati di una ricerca basata sulla visualità programmata e cinetica, ce ne manifesta tutta l’attualità.
Horacio García Rossi è uno degli indiscussi protagonisti di una gloriosa stagione, e omaggiarlo a un anno dalla morte, a Brescia – dove fu spesso, dove aveva nella Galleria Sincron di Armando Nizzi un centro di diffusione e importante appoggio, dove ha coltivato affezionati collezionisti ed estimatori –, è doveroso. Ma non è soltanto un tributo memoriale: vogliamo iniziare a porre alcuni punti fermi, a smontare apertamente la sufficienza con cui troppo a lungo si sono considerate esperienze artistiche di qualità e impegno? García Rossi, dunque, come simbolo e “grimaldello”.
Era nato a Buenos Aires, Horacio, e studiò nella propria città, conoscendo Julio Le Parc e Hugo Demarco (cui possiamo aggiungere Francisco Sobrino, spagnolo di nascita ma formatosi anche lui in Argentina): una “nidiata” di eccezionali sudamericani, che poi si trasferì in massa a Parigi, ancora attrattiva capitale internazionale. García Rossi ci arriva nel 1959, passando per un periodo a Bruxelles (e in mostra all’AAB ci saranno due rare tempere su cartoncino risalenti proprio al soggiorno belga, rispettivamente del giugno e dell’agosto di quell’anno). Già nel luglio 1960 figura tra i cofondatori del CRAV (Centre de Recherche d’Art Visuel), la compagine che, creata da una decina di artisti, si restringe nel 1961 a sei esponenti, trasformandosi nel più noto GRAV (Groupe de Recherche d’Art Visuel): Horacio García Rossi, Julio Le Parc, François Morellet, Francisco Sobrino, Joël Stein e Yvaral (pseudonimo di Jean-Pierre Vasarely, figlio di Victor). Il collettivo, molto engagé, all’inizio fa parlare di sé in maniera contestataria (i rischi di successive possibili involuzioni manieristiche erano ancora lontanissimi): nel settembre 1961 distribuisce, in occasione della II Biennale di Parigi, un volantino intitolato Basta mistificazioni, in cui sono fissate le linee-guida del programma del GRAV: «L’OCCHIO UMANO è il nostro punto di partenza», scrivono i sei, impegnati contro le nozioni di stabilità, di sguardo cólto e intellettuale, di tradizionale esaltazione del pittore individualista e schiavo della ricerca del capolavoro. Ad accomunarli sono un lessico geometrico ristretto, il ricorso a effetti percettivi di saturazione, vertigine e moltiplicazione dei punti di vista, nonché l’uso della luce elettrica e di materiali industriali. Lo stesso García Rossi costruirà nel 1964 la Boîte à lumière instable (ora esposta al Grand Palais), con tanto di motore incorporato. horacio garcia rossi 108 800 80 24 cm x 24 cm propr.S.Lauro
Nel 1962 è nei locali del GRAV a Parigi che si ritrovano i membri della Nouvelle Tendance, il movimento fondato l’anno precedente a Zagabria in seguito alla mostra Nove Tendencije alla Galleria Suvremene Umjetnosti, e che riuniva il tedesco Gruppo Zero e lo spagnolo Equipo 57 (mentre in Italia ci saranno i gruppi N, T, Uno e 63, in Olanda il NUI eccetera). L’intento generale era di ribaltare la situazione in atto dell’arte, opponendosi al soggettivismo dell’Informale e dei vari realismi, espressionismi ed esistenzialismi, e puntando sul coinvolgimento dello spettatore non sul piano emozional-sentimentale, ma su quello percettivo e psicologico, o persino direttamente interattivo e manipolatorio: stimolare i fenomeni della visione, studiarne l’instabilità e la mutevolezza, sperimentare le facoltà cinetiche dell’opera, dotandola di movimento sia proprio, meccanico, sia virtuale, suggerendo cioè un’idea di dinamismo mediante meri procedimenti compositivi. Insomma: farci capire che si vede sì con gli occhi, ma soprattutto col cervello.
García Rossi è stato uno dei protagonisti di quell’epoca. Ne ha attraversato i momenti salienti, le lotte e le esplosioni ludiche, fino alla celebre Journée dans le rue del 19 aprile 1966 e alla mostra-consacrazione Lumière et Mouvement al Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi nel 1967. Nel novembre 1968 il GRAV si sciolse di comune accordo, e ciascuno dei sei proseguì per la propria strada. Quella di Horacio García Rossi è stata lunga e felice, e l’ha condotto, a partire dalla fine degli anni Settanta, a trattare in particolare il problema del rapporto tra luce e colore, e della sua resa in termini pittorici. Un percorso limpido e brillante, che la nostra mostra tenterà di delineare tramite le opere provenienti dalle collezioni bresciane.
Paolo Bolpagni